Riassumere in poche righe abitudini e cultura di un popolo è impresa assai ardua. Qui si offre una sintesi del pensiero e delle abitudini dei serbi, nella vita di ogni giorno, negli incontri fra amici e parenti, in una delle ricorrenze religiose più sentite come la Slava.
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La vita in Serbia scorre con relativa calma, senza particolare fretta. Il livello generale di stress è distante da quello che invece soffoca e logora, ormai da tempo, noi italiani. Ne derivano, soprattutto nei villaggi rurali, ritmi più lenti, meno frenetici e un atteggiamento in linea di massima positivo, sia nella vita quotidiana, sia nel lavoro. Tutto ciò malgrado la situazione economica e occupazionale sia più critica di quelle di altri Paesi europei, Italia compresa. Le feste, i ritrovi e le cene di gruppo, sono (quasi) all’ordine del giorno. Se qualcosa manca, si porta pazienza e ci si dorme sopra, riponendo le proprie speranze in un domani migliore.
Molti serbi, quindi, preferiscono vivere alla giornata, preoccupandosi il giusto del presente e un po’ meno del futuro: la loro filosofia di vita li porta a essere fiduciosi in ciò che verrà e ironici rispetto a ciò che è già stato. Capita, durante le serate trascorse in compagnia a sorseggiare rakija (Distillato di prugne [Šljivovica]), di rivivere nelle parole di chi racconta i tempi e le difficoltà delle guerre più recenti, narrati però come fossero fatti quasi piacevoli da ricordare.
Questo atteggiamento, molto diffuso nelle aree rurali, fa sì che la popolazione serba risulti simpatica, interessante e piacevole da trattare. A questo modo di essere, va poi aggiunta l’innata ospitalità che caratterizza tutto il Paese, talvolta spinta a livelli che, agli occhi di chi proviene da ambienti più chiusi e diffidenti, sembra quasi esagerata.
I serbi, un popolo ospitale
L’ospite, in Serbia, è sacro e va trattato con il massimo rispetto, provvedendo a fornirgli tutto quello di cui ha bisogno: all’arrivo viene di solito accolto con lo slatko (cirillico: слатко) insieme a un bicchiere d’acqua naturale o frizzante (kisela voda, cirillico: кисела вода).
Sono pezzi di frutta (fichi, uva, prugne, etc.) cotta in acqua e zucchero, quindi molto gradevoli sia per i bambini sia per gli adulti, serviti in una coppetta di vetro trasparente, quindi su un piccolo vassoio da portata. La sua comparsa prescinde dall’ora della giornata e rappresenta il modo più tradizionale, per un serbo, di accogliere il proprio ospite. Il rifiuto è da evitare, sempre e comunque: anche il degustarne un solo pezzetto rende felice chi ve lo offre.
Quasi sempre la quantità di cibo posta in tavola va ben oltre le comuni capacità umane: meglio alzarsi sazi da una tavola ancora imbandita e pronta a soddisfare le esigenze di chi per caso dovesse ancora sopraggiungere, che rischiare di finire le scorte con gli ospiti ancora intenti alla degustazione. Non di rado ci si trova di fronte a piatti che non rientrano nelle proprie abitudini alimentari. È meglio vivere la situazione come un’occasione per provare e allargare la propria cultura culinaria, piuttosto che opporre un rifiuto o mostrarsi scettici. Non c’è da aspettarsi stoviglie in plastica, considerate offensive nei confronti di chiunque.
Il saluto dei serbi, al risveglio, è il classico “buongiorno” (dobro jutro, cirillico: добро јутро). Poco dopo si passa al buongiorno di mezza mattina (dobar dan, cirillico: добар дан), quindi al buonasera (dobro veče, cirillico: добро вече). Fra giovani, o comunque quando il rapporto è informale e stretto, si utilizza l’universale “ciao” (ćao oppure zdravo). Quando ci si lascia, il saluto di commiato, ovvero il classico arrivederci diventa doviđenja. Il saluto più affettuoso prevede tre baci e non due come si usa fare in Italia e in diversi Paesi d’Europa.
Dopo lo slatko, è l’ora del caffè. Niente espresso o caffè ristretto: il caffè serbo è lo stesso che si consuma in Turchia, quindi non è filtrato ed è molto lungo. Si chiama turska kafa (cirillico: турска кафа). La regola, il più delle volte violata, vuole che la consumazione del caffè duri un’ora o giù di lì: il sorseggio è lento, lentissimo, intervallato da discorsi di ogni tipo. Il detto locale recita: “jedna kafa, jedna sata” ovvero “un caffè, un’ora”.
Se si consumano alcolici e si brinda alla salute dei presenti, si pronuncia la parola Živeli! (equivale al nostro modo di dire Salute!), si toccano i bicchieri e, regola da non dimenticare mai, ci si guarda negli occhi.
Il bicchiere, una volta vuoto, viene riempito ancora, per una seconda volta, una terza, una quarta, etc… Se non siete in grado di reggere tanto alcool, è buona norma conservarne un po’, proprio per evitare che il padrone o la padrona di casa provvedano a fornirvene ancora. Meglio ricorrere a questo semplice stratagemma, piuttosto che rifiutare.
Gli inviti a pranzo e a cena si sprecano e sarebbe un vero peccato non accettare. In Serbia si mangia, tanto e bene! La gran parte dei piatti, a base di verdure e di carne suina, incontra spesso i gusti di noi italiani. La carne la fa da padrone, preparata alla griglia o al girarrosto: il maiale intero, cotto sul fuoco vivo, è uno dei simboli della cucina serba.
Dove c’è la Slava, c’è un serbo
Un’esperienza indimenticabile è senza dubbio la Slava (cirillico: Слава). Prenderne parte deve essere considerato un grande onore, trattandosi della glorificazione del Santo protettore di famiglia. È quindi una festa religiosa ortodossa e ricorre una volta all’anno. I suoi festeggiamenti durano da uno a tre giorni, in funzione della disponibilità e delle forze messe in campo dai padroni di casa. Sveti Nikola, Sveti Đurđica, Sveti Stefan e via dicendo sono soltanto alcuni dei Santi che i serbi elevano a protettori delle loro case e famiglie. La tradizione e l’assegnazione del Santo si trasmette di padre in figlio (maschio).
Specie nelle aree e nei villaggi rurali, i partecipanti alla Slava possono facilmente superare le cento unità: parenti e amici sopraggiungono quando vogliono o possono, senza che ci sia un orario prestabilito e a tutti è riservato lo stesso trattamento d’onore. La tavola è sempre imbandita e non può essere sparecchiata fino a quando l’ultimo ospite non avrà abbandonato la casa. L’intera giornata è illuminata da una candela che brucia in onore del proprio Santo. Il padrone di casa, stando alla tradizione, resta in piedi fino a quando la stessa non sia spenta, quindi al calar del sole.
L’augurio da portare al padrone e alla padrona di casa è “Srećna slava domaćini i domaćice“, ovvero “Felice Slava al padrone e alla padrona di casa”. Segue, come cibo di benvenuto, lo žito, un dolce preparato con grano cotto, noci, zucchero e cannella, servito con vino, quindi il segno della croce che apre a tutti i brindisi e ai festeggiamenti. Si ritiene che la Slava sia stata introdotta in passato dall’arcivescovo della Chiesa Ortodossa Serba Sava, divenuto poi santo (San Sava). Vale il detto: “Gde je Slava, tu je Srbin“, ovvero “ovunque si festeggi la Slava, vi è un serbo”.