Difficilmente inizierete un pranzo o una cena fra amici senza aver prima sorseggiato un bicchiere di rakija (distillato o acquavite, detto impropriamente “grappa”). Che sia di prugne (Šljivovica, cirillico: Шлјивовица), di albicocche o di pere, questo super-alcolico fa parte dello spirito e delle abitudini serbe. Alla domanda «rakijcu?» (grappino?) rispondete «da» (sì) senza esitazione.
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Altra icona della Serbia e dei Balcani. La Šljivovica (cirillico: Шљивовица) è un’acquavite di solito incolore, ricavata dalla fermentazione di prugne (il termine “šljiva”, nella lingua serba, significa appunto “prugna”).
È spesso distillata in casa, come rito stagionale, a partire da diversi prodotti naturali. Non di rado si trova di colore giallo paglierino, in funzione degli ingredienti utilizzati per la sua preparazione.
Quando si è ospiti di serbi, o quando si inizia un pranzo o una cena, in casa così come al ristorante, viene offerta come rakija (letteralmente “distillato” o “acquavite”). Nel linguaggio colloquiale, questo apprezzato distillato viene detto (impropriamente) anche grappa.
Noi italiani consumiamo alcolici soprattutto a fine pasto; in Serbia si fa esattamente il contrario. La rakija fa quindi da aperitivo. Malgrado le abitudini diverse, rifiutarne un bicchiere è un atteggiamento scortese, quindi da evitare.
La si trova nei negozi specializzati, nei supermercati, nei piccoli market di paese, praticamente ovunque, con contenuti di alcool che oscillano fra il 40 e il 45%, anche in bottigliette da pochi cl. Il prezzo è solitamente abbordabile.
La rakija fatta in casa può eccedere, secondo i gusti, fino al 70% di gradazione alcolica. Una variante molto apprezzata è quella all’aroma di albicocca (rakija od kajsija). Non si corre il rischio di sbagliare se la si definisce il super-alcolico nazionale della Serbia, da servire in appositi bicchieri di vetro. E, sia chiaro, prima di sorseggiarla, il brindisi, pronunciando «Živeli», è d’obbligo!
La distillazione è l’arte della riduzione, della concentrazione dell’alcol come privilegiato veicolo di sapore e profumo. Il distillato è questo, un fortissimo “spirito” ottenuto dal passaggio in un alambicco di un fermentato.
Nella trasformazione, il risultato arriva al palato con sensazioni avvolgenti, ma soprattutto seduce il naso con profumi caldi e penetranti, sfumate dalle tinte delicate di fiori, erbe e frutti, fino alle note barocche di vaniglia e tabacco tipiche dei lunghi affinamenti in legno. Numerose sono le tipologie, catalogate a partire dalle materie prime, ma anche per la metodologia di lavorazione e affinamento. Macchine spettacolari, tradizionalmente di rame, tra pressioni e reazioni chimico-fisiche, trasformano la materia in attesa che venga riposare a lungo, più a lungo che per qualsiasi altro alcolico prodotto dall’uomo. È infatti il tempo uno degli strumenti più importanti per un’acquavite di qualità, ovviamente oltre l’uomo, che nell’uso dell’alambicco tradizionale, è una vera discriminante. Secoli di tradizione riportano ai nostri giorni un panorama frastagliato tanto nella sostanza, quanto nei nomi. Si parte da un termine unico: acquavite, dopodiché si declina a seconda di cosa finisce nell’alambicco. L’uva è una protagonista importante, ma tanto quanto frutti, cereali, tuberi, in linea di principio tutto quello in cui si possa indurre fermentazione alcolica degli zuccheri.
La distillazione è un procedimento di per sé lineare. In primo luogo, serve ricordare come la fermentazione sia il processo con il quale una sostanza organica (normalmente lo zucchero) viene trasformata in alcol da microrganismi unicellulari come i lieviti. Un distillato (o acquavite) è appunto alcol distillato, che porta con sé sapori e profumi.
Tratto da: I distillati (Piccola Enciclopedia del Buon Bere, Gribaudo tempolibro).